IL DERMATOLOGO – Dottor Emanuele Miraglia
Il Lichen è una malattia rara? «Il Lichen è una malattia rara, ma non così tanto. Secondo la mia esperienza siamo attorno al 3% delle persone, divise in parti uguali tra donne e uomini. Nei bambini le forme sono un po’ più rare, in alcuni casi acute, ma che poi tendono a sparire nel tempo».
L’approccio con il paziente. «Se per un medico il Lichen è solo una parola, per il paziente non è così. Le persone arrivano alla visita che hanno già letto molto e hanno delle convinzioni. Per far sì che possano seguire la terapia occorre “smantellare” quelle convinzioni e poi ricostruirle. È necessario fargli capire che dovranno applicare quotidianamente delle creme, che dovranno tenere lontano stress inutili, fare dei controlli periodici con specialisti. Occorre sostenerle nella programmazione di un futuro. Per fare tutto questo è importante non solo che ci sia conoscenza della patologia in sé, ma che vi sia relazione tra gli specialisti. Nel Lichen la sfera sessuale è molto colpita, in entrambi i sessi. Sono poche le persone che affrontano una diagnosi del genere con superficialità o che la metabolizzano subito, quindi ci saranno sicuramente tante conseguenze. Avere il supporto di uno psicologo è importante, dalla diagnosi della malattia fino a tutto il decorso. Occorre lavorare a 360° sul paziente e sulla eventuale coppia. D’altronde il Lichen è una patologia che ha una predisposizione genetica e una componente autoimmune. Come tutte le malattie autoimmuni risentono dello stato psicologico, quindi più siamo devastati più è probabile che ci siano delle fasi acute».
I progressi nel settore sanità. «Dal 2001, quando furono varati i decreti sulle malattie rare, è stato fatto tanto. Nei grandi ospedali era stato istituito lo sportello delle malattie rare. Negli ultimi anni purtroppo un po’ del lavoro fatto è andato perso, perché i centri non si sono ampliati, quelli che c’erano sono andati un po’ in malora, ma speriamo che riprendano. Le leggi ci sono, occorre solo applicarle. In questo discorso anche l’associazionismo, come il caso LISCLEA, aiuta. Molto spesso ai pazienti mancano le informazioni proprio da un punto di vista burocratico. Vanno in un centro, gli viene fatto il piano terapeutico, poi vanno a casa e non sanno che devono fare. Da quel punto di vista l’associazione dà una grossa mano».